Dichiarazione fraudolenta per operazioni inesistenti
Frode fiscale: sussiste in caso di sovrafatturazione qualitativa
Con la sentenza n. 52411/2018, la Cassazione ha affermato che non sussiste violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p. nel caso di condanna per utilizzazione o emissione di fatture in parte oggettivamente ed in parte soggettivamente inesistenti a fronte di una contestazione iniziale di sola utilizzazione o emissione di fatture in tutto oggettivamente inesistenti purché siano stati rispettati i diritti di difesa. Ed ancora, il reato di dichiarazione fraudolenta di cui all’art. 2 d.lgs. 74/2000 ricorre tanto nell’ipotesi di inesistenza oggettiva quanto in quella di inesistenza relativa e di sovrafatturazione qualitativa. Da ultimo, con la medesima sentenza i giudici di legittimità hanno precisato che la specifica finalità evasiva di cui all’art. 2 d.lgs. 74/2000 non esclude ma presuppone che il dolo richiesto dalla norma sia quello generico, comprensivo così anche di quello eventuale.
di Andrea Colaruotolo – Specializzando presso SSPL dell’Università degli Studi Roma Tre
Il fatto
In parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di B., la Corte d’appello ha condannato sei soggetti, imputati dei reati di cui agli artt. 81 e 110 c.p. e 2 e 8 d.lgs. 74/2000 per condotte di frode fiscale, realizzate da società gerenti campagne pubblicitarie in ambito sportivo. In particolare, gli illeciti fiscali sono consistiti nell’utilizzo e nell’emissione di fatture relative ad operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti allo scopo di abbattere i ricavi di esercizio nelle dichiarazioni annuali sui redditi e sul valore aggiunto. A tal fine, gli imputati si sono avvalsi di una fitta serie di società cartiere, prestanomi e amministratori di facciata nonché della costituzione di fondi neri all’estero. Ed ancora, agli stessi è stata contestata la sovrafatturazione di prestazioni promo pubblicitarie mediante l’interposizione di società cd. filtro al fine di far lievitare i costi tra il primo cedente e l’utilizzatore finale.
Avverso la predetta sentenza di condanna, gli imputati hanno presentato distinti ricorsi per cassazione. I ricorrenti hanno separatamente dedotto tanto vizi relativi a carenze ed illogicità della motivazione quanto censure di inosservanza ed erronea applicazione di legge penale sostanziale e processuale.
Sulla corrispondenza tra accusa e sentenza in relazione alle diverse ipotesi di operazioni economiche inesistenti
La Suprema Corte ha dichiarato i ricorsi per cassazione proposti inammissibili per manifesta infondatezza e difetto di specificità dei motivi di impugnazione. I giudici di legittimità hanno affermato che le censure prospettate dai ricorrenti si risolvono in una rivisitazione del fatto, essendo dirette ad una diversa lettura del quadro probatorio, fondata non su errori giuridici bensì su personali ricostruzioni degli atti processuali. Per l’effetto, le doglianze sollevate sono state dichiarate inammissibili non essendo consentito un nuovo apprezzamento del fatto in sede di legittimità a fronte di un apparato argomentativo logico e congruo della sentenza impugnata.
In particolare, alcuni ricorrenti hanno lamentato la nullità della sentenza di primo grado per violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza di cui agli artt. 521 e 522 c.p.p. sull’assunto che le tre ipotesi di inesistenza (oggettiva, soggettiva e qualitativa) non sarebbero tra loro sovrapponibili. Queste, infatti, costituirebbero fattispecie diverse, con gli effetti che ne deriverebbero anche sotto il profilo probatorio per accertare la sussistenza del fatto. Nel caso di specie, il Tribunale di B. aveva pronunciato sentenza di condanna nei confronti di alcuni imputati per l’utilizzazione e l’emissione di fatture oggettivamente e soggettivamente inesistenti a fronte di una contestazione originaria relativa esclusivamente all’utilizzazione e all’emissione di fatture oggettivamente inesistenti tout court. La Corte d’appello ha escluso ogni qualsivoglia lesione dei diritti difensivi per due ordini di ragioni. Da una parte, la distanza tra le ipotesi di inesistenza oggettiva, soggettiva e qualitativa risulterebbe minima. Tanto è vero che le suddette ipotesi di inesistenza sono tutte ricomprese sotto il medesimo ambito operativo dell’art. 1 d.lgs. 74/2000. Ne deriverebbe, quindi, che il fatto incriminato è quello di aver emesso fatture difformi dalla sottostante realtà economica. Dall’altra, la modifica dei capi di imputazione originari non avrebbe impedito ai ricorrenti di difendersi durante l’intero arco del procedimento dalle accuse. Per la Cassazione, infatti, si ha mutamento del fatto solo nell’ipotesi di trasformazione radicale della fattispecie concreta nei suoi elementi essenziali con conseguente incertezza sull’oggetto dell’imputazione e corrispondente nocumento dei diritti di difesa. Peraltro, ai fini della valutazione dell’osservanza dell’art. 521 c.p.p. deve aversi riguardo non solo al fatto descritto nell’imputazione ma a tutte le risultanze probatorie di cui l’imputato ha avuto contezza, essendo state oggetto di sostanziale contestazione (Cass. pen. Sez. IV, 22-01-2013, n. 5890). La ratio degli artt. 521 e 522 c.p.p., infatti, è quella di consentire il rispetto del contraddittorio sul contenuto dell’accusa e di evitare la condanna dell’imputato per un episodio della vita umana rispetto al quale non abbia potuto difendersi (Cass. pen. Sez. IV, 25-10-2005, n. 41663). Per il Supremo Collegio, quindi, non si registra violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nel caso di condanna per utilizzazione o emissione di fatture in parte oggettivamente ed in parte soggettivamente inesistenti a fronte di una contestazione iniziale di utilizzazione o emissione di fatture in tutto oggettivamente inesistenti. Tra le suddette fattispecie, difatti, intercorre un rapporto di continenza e non di incompatibilità o di eterogeneità, fatta salva l’impreteribile osservanza del contraddittorio tra le parti. Invero, si tratta di condotte coincidenti quanto al nucleo essenziale dell’antigiuridicità da individuarsi nell’emissione o annotazione di una fattura difforme dalla sottostante realtà economica. Di talchè, non si verifica alcuna menomazione del contraddittorio allorquando gli imputati, come nel caso di specie, siano stati concretamente in grado di difendersi attraverso l’iter processuale in ordine all’oggetto dell’imputazione.
Fermo quanto sopra, i giudici di legittimità hanno avuto modo di chiarire che il reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti di cui all’art. 2 d.lgs. 74/2000 ricorre tanto nell’ipotesi di inesistenza oggettiva quanto in quella di inesistenza relativa e di sovrafatturazione qualitativa, allorquando la fattura attesti la cessione di beni e/o servizi aventi un prezzo maggiore di quelli forniti. Ciò si giustifica alla luce del fatto che la previsione di cui all’art. 2 d.lgs. 74/2000 è volta a reprimere ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale (Cass. pen. sez. III, 21-05-2013, n. 28352). In tema di sovrafatturazione qualitativa, con la presente pronuncia la Cassazione ha affermato che la questione relativa alla congruità o meno del valore del bene o del servizio cui le fatture si riferiscono costituisce un accertamento di fatto devoluto al giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità ove adeguatamente motivato. Nel caso di specie, i giudici di seconde cure hanno desunto l’inesistenza soggettiva e qualitativa delle fatture contestate ad alcuni imputati da varie circostanze. A tal proposito, esemplificativamente, si menzionano la mancanza di qualsivoglia documentazione contabile e contrattuale nella disponibilità degli imputati con conseguente impossibilità in capo agli stessi di procedere a cessioni o acquisiti di diritti pubblicitari. Si aggiunga l’interposizione fittizia di società cartiere senza alcuna consistenza o operatività giuridica, oltre all’utilizzo di prestanomi e rappresentanti legali di facciata stipendiati mensilmente dagli effettivi amministratori. Ed ancora, il corrispettivo indicato nelle fatture era assolutamente sproporzionato al valore della prestazione fatturata posto che il costo cartolarmente sostenuto per acquistare i predetti diritti pubblicitari risultava notevolmente inferiore a quello delle successive rivendite dei diritti medesimi. Il meccanismo fraudolento era complessivamente volto ad abbattere gli utili e l’imponibile a nulla rilevando la presunzione di deducibilità integrale relativa a manifestazioni sportive dilettantistiche.
Sulla compatibilità tra dolo eventuale e dolo specifico
Alcuni ricorrenti hanno dedotto la violazione dell’art. 2 d.lgs. 74/2000 a seguito dell’attribuzione del citato reato a titolo di dolo eventuale asseritamente in contrasto con il dolo specifico richiesto dalla fattispecie incriminatrice. In merito all’elemento soggettivo, la Corte Territoriale ha precisato che gli imputati erano consapevoli della commissione degli illeciti quanto meno a titolo di dolo eventuale, essendosi prestati alcuni di loro al ruolo di amministratori di facciata in cambio di un compenso di denaro mensile. Ed ancora, la condotta dei medesimi sovente non si è tradotta in una mera omissione di controllo bensì in un concorso attivo nella condotta degli amministratori di fatto. Ciò sarebbe stato desunto dalla circostanza per cui alcuni imputati firmavano in bianco gli assegni loro sottoposti, compivano materialmente le operazioni bancarie simulate e sottoscrivevano le dichiarazioni fiscali. Peraltro, gli stessi si sono prestati a svolgere funzioni amministrative di facciata di società senza sede e senza consistenza reale percepibile. Fermo quanto sopra, la Corte territoriale con adeguata motivazione ha escluso che gli imputati non avessero percepito segnali di allarme sulla regolarità della gestione societaria, sulla natura e sulle finalità degli enti di cui erano fittizi amministratori. Tali meccanismi fraudolenti sono stati ampiamente descritti nella sentenza impugnata da cui si evince in capo agli imputati la loro consapevolezza e cointeressenza ovvero l’accettazione del rischio delle frodi realizzate.
Sull’asserita incompatibilità tra dolo eventuale e dolo specifico, la recente giurisprudenza di legittimità ha assunto una posizione diametralmente opposta. Con la presente sentenza, invero, i giudici di legittimità hanno precisato che la finalità evasiva di cui all’art. 2 d.lgs. 74/2000, ulteriore rispetto all’elemento soggettivo relativo all’evento tipico consistente nella presentazione della dichiarazione fiscale, non esclude ma presuppone che il dolo richiesto dalla norma sia quello generico, comprensivo così anche di quello eventuale. Quest’ultimo sarebbe ravvisabile nell’accettazione del rischio che la dichiarazione fiscale presentata abbia ad oggetto fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e che, quindi, detta azione sia finalizzata ad evadere le imposte dirette o l’Iva. Giova evidenziare che l’illecito di cui al citato art. 2 d.lgs. 74/2000 si configura come un reato di pericolo e di mera condotta che si perfeziona al momento della presentazione della dichiarazione fiscale agli uffici finanziari, essendo irrilevante il verificarsi dell’evento di danno e dell’effettività dell’evasione. Peraltro, i giudici d’appello hanno ravvisato in capo a molti imputati il dolo diretto per cui l’addebito dei reati anche a titolo di dolo eventuale ha un carattere meramente concessivo e non determinante nell’apparato motivazionale complessivo.
Sull’emissione di false fatture
In tema di emissione di fatture false di cui all’art. 8 d.lgs. 74/2000, per la Cassazione è onere del soggetto emittente, dinnanzi alla prova fornita da parte dell’accusa della fittizietà dell’intestazione delle fatture e dei documenti contabili, dimostrare la corrispondenza tra il dato fattuale, relativo ai rapporti giuridici che si affermano essere effettivamente intercorsi, e quello documentale, mediante il quale tali rapporti sono attestati (Cass. pen. Sez. III, 21-04-2017, n. 34534).
Infine, la Cassazione ha ribadito che il reato punito dall’art. 8 non richiede ai fini del suo perfezionamento l’utilizzo effettivo delle fatture ovvero il conseguimento del fine evasivo da parte dei destinatari dei documenti contabili. Ed ancora, il perseguimento da parte dell’agente di finalità ulteriori a quella evasiva non preclude la configurabilità dell’illecito fiscale. Invero, l’illecito di emissione di false fatture si connota per essere un reato di pericolo e di mera condotta la cui consumazione coincide con l’emissione stessa del documento fiscale (Cass. pen. Sez. un., 14-11-2007, n. 12719). Ne deriva che il fine di consentire a terzi l’evasione, previsto dall’art. 8 d.lgs. 74/2000 ed oggetto del dolo specifico, non rappresenta l’evento del reato. Ed ancora, con la presente sentenza i giudici di legittimità hanno affermato che nessun dubbio si pone sulla compatibilità tra dolo eventuale e dolo specifico in merito all’art. 8 d.lgs. 74/2000, sostanzialmente per le medesime ragioni di cui sopra spese sulla corrispondente compatibilità in merito all’art. 2 d.lgs. 74/2000.
Esito:
rigetto