Reati tributari – Omesso versamento IVA: non punibile solo se le rate versate chiariscono esattamente l’imposta
Nei reati tributari, nello specifico in quello di omesso versamento Iva, per beneficiare della non punibilità prevista per l’estinzione del debito fiscale, occorre individuare con esattezza la tipologia del tributo versato affinché risulti in modo chiaro che si tratti di quello oggetto del procedimento penale. Solo indicando i criteri di imputazione delle somme ai diversi tributi oggetto di transazione fiscale, infatti, può essere riscontrato l’integrale pagamento con rilevanza ai fini penali. A fornire questo importante chiarimento è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 40217 del 10 settembre 2018.
Un imprenditore – in qualità di legale rappresentante di una Srl – veniva imputato per il reato di omesso versamento dell’Iva (art. 10-ter, D.Lgs. 74/2000).
In particolare, era contestato allo stesso di aver omesso di versare oltre 500.000 euro di Iva dovuta per il periodo di imposta 2009.
L’imprenditore veniva condannato in primo grado e la sentenza era confermata anche in appello.
La difesa presentava ricorso in Cassazione, lamentando che la Corte territoriale aveva ritenuto irrilevante lo stato di crisi di liquidità in cui versava la società, stato corroborato dalla circostanza che la stessa fosse stata ammessa alla procedura di concordato preventivo. Inoltre, l’assenza del dolo di evasione sarebbe stata provata anche dal fatto che, poco dopo la presentazione della domanda di concordato, l’impresa aveva concluso nell’aprile 2012 una transazione con l’Agenzia delle Entrate, volta a soddisfare i creditori sociali, di cui aveva iniziato l’adempimento.
I giudici del merito avrebbero pertanto errato ad escludere la causa di non punibilità prevista dall’art. 13 del D.Lgs. 74/2000, nonostante fossero state pagate due rate dell’accordo transattivo, complessivamente superiori al debito Iva in contestazione.
La normativa
Il D.Lgs. n. 158/2015, in vigore dal 22 ottobre 2015, ha apportato rilevanti modifiche al D.Lgs. n. 74/2000, anche in tema di pagamento del debito tributario e conseguenze penali.
In particolare, è ora previsto che l’integrale pagamento del debito tributario, comprese sanzioni amministrative ed interessi, anche a seguito di procedure conciliative, adesione e ravvedimento operoso, prima dell’apertura del dibattimento di primo grado, comporta la non punibilità per i reati di omesso versamento delle ritenute e dell’IVA (artt. 10-bis e art. 10-ter), nonché per il reato di indebite compensazioni con crediti non spettanti (art. 10-quater, comma 1).
La medesima causa di non punibilità è poi prevista anche per i reati di dichiarazione infedele (art. 4) ed omessa (art. 5), purché però il contribuente non abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali nei suoi confronti.
Per gli altri reati il pagamento del debito, prima dell’apertura del dibattimento di primo grado, continua a garantire l’applicazione di un’attenuante speciale.
Prima di tale modifica il pagamento del debito tributario costituiva solo una circostanza attenuante e non una causa di estinzione del reato.
Ora il nuovo D.Lgs. n. 158/2015 ha differenziato la disciplina a seconda dei reati e, pertanto, in alcune situazioni, il pagamento del debito tributario – prima della dichiarazione di apertura del dibattimento – potrà costituire una causa di non punibilità.
Inoltre, il nuovo art. 13, comma 3, prevede che qualora , prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione, è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo. In tal caso la prescrizione è sospesa. Il giudice ha facoltà di prorogare tale termine una sola volta per non oltre tre mesi, qualora lo ritenga necessario, ferma restando la sospensione della prescrizione. In sostanza, ove ci si avvalga della rateazione, i pagamenti devono concludersi al massimo entro 6 mesi dall’udienza dell’apertura del dibattimento.
La decisione della Corte di cassazione
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 40217, depositata il 10 settembre 2018, ha respinto il ricorso dell’imprenditore, confermando la condanna a suo carico.
I Supremi giudici hanno rilevato che per le rate pagate non erano indicati i criteri di imputazione delle somme ai diversi tributi oggetto di transazione fiscale. Infatti, l’accordo con l’Agenzia era relativo non solo all’Iva oggetto di contestazione penale, ma anche ad altre imposte riferite a diverse annualità.
Non poteva quindi essere verificato l’integrale pagamento dell’Iva oggetto di contestazione penale. Le rate versate, infatti, erano relative ad un debito originario più elevato ma in assenza di specifiche, mancava il presupposto dell’integrale pagamento, previsto per l’esclusione della non punibilità.
In sintesi, la Cassazione ha ritenuto che verosimilmente l’imposta contestata, essendo stata rateizzata nel totale dovuto, non fosse stata integralmente corrisposta ai fini della non punibilità.
Così, in presenza di transazione fiscale, nell’ipotesi in cui il debito definito sia relativo a più tributi e/o più annualità, per provare il pagamento dell’imposta rilevante penalmente, non basta il versamento di alcuni ratei anche se complessivamente di importo superiore a quella relativa all’illecito penale, necessitando una chiara esplicitazione. Pertanto, in presenza di rateazione di un debito relativo sia all’imposta penalmente rilevante, sia ad altri tributi, conviene prudenzialmente chiedere all’Ufficio la composizione di ciascuna rata per verificare i pagamenti nel dettaglio.
Cassazione penale, Sez. III, sentenza 10 settembre 2018, n. 40217