Tribunale di Rimini- Cancellati i debiti della Socia dichiarata fallita con Decreto del 16.01.2025 di Concessione del Beneficio dell’Esdebitazione

la vicenda processuale:

Lo scrivente avvocato depositava presso il Tribunale di Rimini in data 28.6.2024, nell’interesse della sig.ra Tizia, che era stata dichiarata fallita quale socia illimitatamente responsabile, ricorso volto ad ottenere il beneficio dell’esdebitazione, ossia la cancellazione dei debiti residui, anche se i creditori concorsuali erano stati soddisfatti solo parzialmente. Il Curatore e l’INPS rendevano parere negativo all’esdebitazione.

La Sentenza:

Il Tribunale di Rimini, dopo aver ritenuto applicabile al caso di specie la Legge FALLIMENTARE e non il Codice della Crisi di Impresa, in quanto il fallimento era stato dichiarato sotto la vigenza della L.F, accoglieva il  ricorso depositato dall’esponente difesa, e dichiarava inesigibili nei confronti della socia fallita, i debiti concorsuali non soddisfatti integralmente.

Il Tribunale, infatti, accertava  in capo alla fallita  la sussistenza dell’elemento soggettivo (il fallito  ha cooperato con gli organi della procedura, fornendo tutti le informazioni necessarie e la documentazione utile all’accertamento del passivo, (art. 142, primo comma, n.1); non ha in alcun modo ritardato o contribuito a ritardare lo svolgimento della procedura, collaborando attivamente; non ha violato gli obblighi di consegna di cui all’art. 48 l.fall.; non ha beneficiato di altra esdebitazione nei dieci anni precedenti la richiesta; non sono emersi atti distrattivi ovvero l’esposizione di passività insussistenti all’attivo del fallimento; non ha cagionato o aggravato il dissesto rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari o fatto ricorso abusivo al credito; dal certificato del casellario giudiziale e da quello dei carichi pendenti non risulta che il fallito sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio, e altri delitti compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività di impresa, né che siano in corso procedimenti penali per i medesimi reati.

Quanto al requisito oggettivo richiesto dal secondo comma dell’art. 142 cit. (che la norma definisce con formulazione negativa: “l’esdebitazione non può essere concessa qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali”), questo è stato interpretato dalla giurisprudenza della suprema Corte, in mancanza di un chiaro riferimento letterale, facendo applicazione del criterio interpretativo logico sistematico, finalizzato alla ricostruzione della ratio legis ( v Cass 24214/2011, ripresa da Cass 9767/2012 );

al riguardo la ratio della disciplina dell’esdebitazione è stata individuata: da un lato, nell’esigenza di evitare che in conseguenza del fallimento vadano definitivamente eliminati dal mercato sia l’imprenditore che la ricchezza costituita dalle esperienze da questi acquisite; dall’altro, la consapevolezza da parte dell’imprenditore dichiarato fallito di poter ottenere, in presenza di determinati requisiti, l’estinzione dei propri debiti può favorire la tempestiva apertura di procedure concorsuali e indurre l’imprenditore a evitare condotte dilatorie e ostruzionistiche; l’imprenditore, liberato dai debiti pregressi, può quindi riprendere la propria attività pienamente, senza dover subire limitazioni alle proprie iniziative per effetto dei debiti precedenti; la ratio legis così individuata, a fronte di un dato letterale che presenta margini di equivocità induce, dunque, a privilegiare un’interpretazione che consenta un’ampia applicazione dell’istituto dell’esdebitazione, pertanto non limitata all’ipotesi – nella realtà del tutto eccezionale – in cui all’esito della

fallimentare siano stati soddisfatti tutti i creditori privilegiati e, seppure in minima parte, anche i creditori chirografari; non essendo previsto dalla norma un limite quantitativo minimo, in ordine all’entità dei crediti che dovrebbero essere stati soddisfatti, rispetto al totale, per poter accedere all’esdebitazione, è compito del giudice – con il suo prudente apprezzamento – accertare quando la consistenza dei riparti realizzati consenta di affermare che l’entità dei versamenti effettuati, valutati comparativamente rispetto a quanto complessivamente dovuto, costituisca quella parzialità dei pagamenti richiesti per il riconoscimento del beneficio sul quale è controversia; la giurisprudenza della Suprema Corte ha inoltre precisato che “In tema di esdebitazione, la condizione di soddisfacimento, almeno parziale, dei creditori concorsuali, prevista dall’art. 142, comma 2, L. Fall., deve intendersi realizzata anche quando talune categorie di creditori (nella specie, i creditori chirografari) non abbiano ricevuto alcunché in sede di riparto”, Cass 16620/2016);

successivamente, dopo l’intervento della Direttiva UE 2019/1023, la Suprema Corte con indirizzo unanime ha ulteriormente precisato che “la valutazione della circostanza ostativa di cui al secondo comma dell’art. 142 L. Fall., che ricorre «qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali», pur essendo rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, deve essere operata secondo un’interpretazione coerente con il favor debitoris che ispira la norma, sicché, ove ricorrano gli altri presupposti, il beneficio dell’esdebitazione deve essere concesso, a meno che i creditori siano rimasti totalmente insoddisfatti o siano stati soddisfatti in percentuale “affatto irrisoria” (Cass. 15603/2023, che richiama Cass.15246/2022; Cass 7550/2018); la valutazione di irrisorietà della percentuale assicurata ai creditori è riservata, come si è visto al prudente apprezzamento del Giudice il quale, nell’interpretare la legge secondo il principio del favor debitoris, dovrà tenere conto non solo dell’attivo concretamente distribuito ai creditori, ma anche del valore dell’attivo acquisito alla procedura, indipendentemente da quello effettivamente realizzato , per es. a seguito di ripetute aste deserte (così Cass 15603/2023), il tutto in relazione all’ammontare del passivo della procedura (e, nel caso in cui il ricorrente sia un socio illimitatamente responsabile, fallito in estensione: tenendo presente sia il passivo personale, sia quello sociale, poiché il credito dichiarato dai creditori sociali nel fallimento della società si intende dichiarato per intero anche nel fallimento dei singoli soci : v Cass 16263/2020; 15603/2023); nel caso di specie – oltre alle spese prededucibili che hanno assorbito quasi un terzo dell’intero attivo realizzato – risulta che è stata distribuita la somma complessiva di € 10.607,67 con l’intero attivo della procedura, riferibile a società e soci; in rapporto all’intero passivo della società e della socia fallita, pari ad € 762.097,57, la percentuale complessiva distribuita al ceto creditorio ammonta al 1,39% circa ; deve essere qui rilevato che ove si voglia valutare – come è indispensabile, trattandosi qui della esdebitazione del socio, in cui quindi rileva il pagamento parziale derivato dalla sua massa attiva – l’apporto dell’attivo distribuito riferibile alla socia fallita, la percentuale rispetto all’intero passivo (società più socia) non muta, posto che l’unico attivo che è stato distribuito nell’ambito del fallimento in oggetto è pervenuto proprio dal fallimento della socia. Tenendo presente invece l’intero attivo acquisito alla procedura (€ 43.164,92 , di cui € 41.967,86 dalla sola socia) rispetto all’intero passivo, la percentuale complessiva di soddisfazione è del 4,3% ; mentre quella riferibile alla massa attiva della sola socia è del 4,2 % circa,

Il tribunale di Rimini, quindi, ha ritenuto che il pagamento dei debiti nella misura del 4,3% sia idonea a garantire il rispetto del requisito di cui all’art. 142 co. 2 L. Fall. e conseguentemente ha dichiarato che non sono esigibili nei confronti della socia fallita i debiti non soddisfatti.

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