Avvisi di accertamento
LA QUALIFICA DEL CAPO UFFICIO
Relativamente alla necessità (o meno) della qualifica dirigenziale del “capo ufficio” competente a sottoscrivere gli avvisi di accertamento, sulla quale, come ben noto, si è espressa in modo univoco la giurisprudenza di legittimità e, in maniera pressoché unanime, almeno a seguito della sentenza n. 22810/2015 della Corte di legittimità, anche la giurisprudenza di merito (tra le tante, CTR Lombardia, 7 febbraio 2018, n. 510), si intende verificare l’effettiva tenuta dell’argomentazione principale fatta propria dalla Corte di legittimità per escludere la necessità della qualifica dirigenziale per il ‘capo ufficio’ (al riguardo, la Corte parla di “ un argomento logico-letterale la cui rilevanza appare innegabile per la soluzione del problema in esame ”). In estrema sintesi, il predetto orientamento afferma che, poiché il “delegato” (alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento) può essere, per espressa previsione normativa, un “altro” impiegato della carriera direttiva, allora anche il “capo ufficio” è sufficiente che appartenga (al pari del “delegato”) alla carriera direttiva, non essendo, per contro, necessaria la qualifica dirigenziale.
Vediamo, pertanto, se tale argomentazione sia davvero decisiva per la soluzione della questione nel senso dell’irrilevanza della qualifica dirigenziale.
NORMATIVA
L’ art. 42, commi 1 e 3, D.P.R. n. 600/1973 stabilisce, da un lato, che “ gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti di ufficio [emessi in materia di imposte sui redditi] sono portati a conoscenza dei contribuenti mediante la notificazione di avvisi sottoscritti dal capo dello ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato ”, e, dall’altro, che “ l’accertamento è nullo se l’avviso non reca [fra l’altro] la sottoscrizione di cui al presente articolo ” (per l’applicabilità della norma anche agli accertamenti emessi in materia IVA, si veda Corte di cassazione, 14 giugno 2013, n. 14942, che conclude in tal senso in forza dell’assunto per cui l’ art. 56, D.P.R. n. 633/1972, nel riferirsi al comma 1 ‘ai modi stabiliti’ per le imposte sui redditi, richiama implicitamente il D.P.R. n. 600/1973 e, quindi, anche l’ art. 42sulla nullità dell’avviso di accertamento, se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato).
Ne deriva, dunque, per espressa previsione normativa, che la mancata sottoscrizione o la sottoscrizione da parte di un soggetto non legittimato comporta l’invalidità dell’atto. In altre parole, la sottoscrizione rappresenta un requisito essenziale dell’avviso di accertamento, in difetto del quale l’avviso stesso deve ritenersi illegittimo.
Ciò premesso, al fine di correttamente individuare la competenza ad emettere gli atti impositivi, bisogna tenere in debito conto l’evoluzione normativa con riferimento ai soggetti cui è stata attribuita la funzione di accertamento.
La norma di cui all’ art. 42, D.P.R. n. 600/1973, nel determinare la competenza ad emanare atti impositivi esclusivamente in capo ai funzionari citati nella norma medesima, riflette, per l’un verso, l’assetto organizzativo tradizionale dell’Amministrazione finanziaria, e, per l’altro, la classificazione del personale nel pubblico impiego secondo il c.d. sistema delle carriere, introdotto con il D.P.R. n. 3/1957, che prevedeva l’inquadramento del personale delle pubbliche amministrazioni in quattro distinte carriere: direttiva, di concetto, esecutiva ed ausiliaria, tra loro in rapporto gerarchico di funzione (art. 1, D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (n1)).
Come noto, tuttavia, rispetto al 1973, risultano radicalmente mutate sia l’articolazione organizzativa dell’Amministrazione finanziaria che la classificazione del personale del pubblico impiego.
Quanto al primo aspetto (id est , l’articolazione organizzativa dell’Amministrazione finanziaria), si deve considerare che, come ben noto, la struttura dell’Amministrazione è stata del tutto trasformata con la costituzione dell’Agenzia delle entrate ad opera del D.Lgs. n. 300/1999 e che, in virtù dell’ultimo riassetto organizzativo, la competenza ad emanare gli atti impositivi spetta alla Direzioni provinciali (ovvero, per i c.d. «grandi contribuenti», alle Direzioni regionali, cfr. art. 17, comma 13 e ss., D.L. n. 185/2008 e art. 5 del Regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle Entrate; si veda, in proposito, anche Circolare, AdE, 9 aprile 2009, n. 13/E).
Quanto al secondo aspetto (id est , la classificazione del personale del pubblico impiego), per quanto qui rileva, è sufficiente evidenziare che, per effetto del D.Lgs. n. 165/2001 (il quale, ai sensi dell’ art. 1, comma 2, trova applicazione anche con riferimento alle ” Agenzie di cui al D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300” e, dunque, con riferimento alle agenzie fiscali per l’appunto istituite dall’ art. 57 del predetto decreto), sussiste una summa divisio tra personale dirigente e personale non dirigente, caratterizzata dalla circostanza che solo il personale dirigente svolge funzioni che vincolano l’amministrazione verso l’esterno. Difatti, per espressa previsione normativa, l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti quelli che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, spetta in via esclusiva ai dirigenti (art. 4, comma 2, D.Lgs. n. 165 del 2001 e art. 17, comma 1, lett. b), del medesimo decreto, significativamente rubricato ‘funzioni dei dirigenti’), fermo restando che, ai sensi dell’ art. 17, comma 1-bis, del predetto decreto, “ i dirigenti, per specifiche e comprovate ragioni di servizio, possono delegare per un periodo di tempo determinato, con atto scritto e motivato, alcune delle competenze comprese nelle funzioni di cui alle lettere b), d) ed e) del comma 1 a dipendenti che ricoprano le posizioni funzionali più elevate nell’ambito degli uffici ad essi affidati ”.
Per espressa previsione normativa, dunque, l’adozione degli atti a rilevanza esterna, stando alla disposizione da ultimo richiamata, spetta in via esclusiva ai dirigenti, salvi il caso della delega di funzioni di cui alla norma anzidetta e le ipotesi di sostituzione/reggenza.
ORIENTAMENTO GIURISPRUDENZIALE DOMINANTE
Orbene, al riguardo, la Corte di cassazione, nella sentenza n. 22810/2015 (che ha affrontato ex professo la questione), ha concluso, come si è già ricordato, per l’irrilevanza della qualifica dirigenziale del ‘capo ufficio’.
Invero, come rilevato dalla stessa sentenza citata, la Suprema Corte si era già espressa in tal senso in forza della lettera della legge: la norma, si è osservato, limitandosi a prevedere che gli avvisi debbano essere sottoscritti dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato, individua nel capo dell’ufficio, per il solo fatto di essere stato nominato tale , l’agente capace di manifestare la volontà della Amministrazione Finanziaria negli atti a rilevanza esterna e di produrre gli effetti giuridici imputabili alla determinazione della sua volontà nella sfera giuridica dei contribuenti (così Corte di Cassazione, 2010, n. 18515; anche il Giudice delle leggi, con la sentenza n. 37/2015, ha dato atto del predetto orientamento).
Ebbene, i giudici di legittimità, con la richiamata pronuncia n. 22810/2015, nel tentativo di rafforzare la predetta conclusione nel senso dell’irrilevanza della qualifica dirigenziale, aggiungono, riprendendo le testuali parole della stessa Suprema Corte, “ un argomento logico-letterale la cui rilevanza appare innegabile per la soluzione del problema in esame ”.
Vale la pena, dunque, riportare il relativo passo della sentenza nel dettaglio:
“se, in base alla norma di cui all’ art. 42, comma 1, l’atto impositivo può essere sottoscritto anche da un ‘altro’ impiegato della carriera direttiva delegato dal capo dell’ufficio, e se tale “altro” impiegato può essere un funzionario di area direttiva non dirigenziale (appunto l’impiegato ex nono livello), per proprietà transitiva è logico desumere che la medesima qualifica di semplice impiegato della carriera direttiva vale a identificare, in base alla stessa norma di legge, la posizione del capo dell’ufficio delegante; posizione in tal misura necessaria ma anche sufficiente ai fini specifici della validità degli atti.
La conclusione è in simile prospettiva direttamente evincibile dal testo del D.P.R. n. 600/1973, art. 42, comma 1, in cui l’utilizzo dell’espressione “altro” non può essere privata di significato al fine di individuare il precetto sottostante. Essa vale a stabilire che la legge consente che anche il capo dell’ufficio sia, al pari del delegato, e al fine di legittimamente sottoscrivere gli avvisi di accertamento, un semplice impiegato della carriera direttiva
”.
Stando, dunque, al ragionamento della Corte di legittimità, se il delegato (alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento) può essere, per espressa previsione normativa, un “altro” impiegato della carriera direttiva, allora anche il “capo ufficio” è sufficiente che appartenga alla carriera direttiva.
RILIEVI CRITICI
Le conclusioni cui perviene il Giudice di legittimità con la sentenza in rassegna muovono dall’(implicito) assunto di partenza per cui la qualifica di dirigente costituirebbe una categoria al di fuori della carriera direttiva, di talché, se il capo ufficio, in ragione della locuzione ‘altro’, è un impiegato della carriera direttiva e i dirigenti sono al di fuori della carriera direttiva, la conclusione che se ne trae è che il capo ufficio non debba affatto essere un dirigente.
Il percorso argomentativo, a ben vedere, muove da due premesse: l’una, esplicita, secondo la quale, in ragione della locuzione “altro”, anche il capo ufficio è un impiegato della carriera direttiva e l’altra, implicita, secondo la quale la qualifica di “dirigente” sarebbe estranea alla “carriera direttiva”.
Orbene, l’erroneità della predetta conclusione (pur coerente con le premesse da cui origina) è la diretta conseguenza dell’erroneità della premessa implicita, in quanto i dirigenti, a differenza di quanto assunto dalla Suprema Corte, sono all’interno, non al di fuori, della carriera direttiva.
Infatti, che i dirigenti rientrino nell’ambito della carriera direttiva emerge direttamente dal testo del D.P.R. n. 748/1972, che, come noto, ha introdotto, nelle amministrazioni statali, la figura del dirigente. Così, all’ art. 1, si stabilisce che “ nell’ambito delle carriere direttive delle Amministrazioni dello Stato…le qualifiche dei dirigenti sono articolate… ” (n2); nello stesso segno (anzi, in maniera ancora più netta), da una lettura dell’ art. 51 emerge che “ le carriere direttive delle Amministrazioni dello Stato…comprendono, oltre le qualifiche di cui al precedente art. 1 [che, come si è visto, ha individuato le qualifiche dei dirigenti], le seguenti…
” (n3).
Risulta, dunque, evidente, per espressa previsione normativa (“ le qualifiche dei dirigenti sono articolate ” “ nell’ambito delle carriere direttive ”, “ le carriere direttive comprendono ” “ le qualifiche dei dirigenti ”), che quella di dirigente è una qualifica che, nel sistema delle carriere di cui al D.P.R. n. 3/1957, si colloca all’interno (e non all’esterno) della carriera direttiva.
In definitiva, quindi, (anche) i dirigenti, nel c.d. sistema delle carriere del pubblico impiego, fanno parte della carriera direttiva.
Per quanto argomentato, dunque, se la qualifica di dirigente si colloca all’interno della carriera direttiva, affermare che il capo ufficio sia un impiegato della carriera direttiva non è sufficiente ad escludere la necessità della qualifica dirigenziale del capo ufficio proprio perché, come si è dimostrato, anche i dirigenti appartengono alla carriera direttiva.
In tale ottica, allora, si deve convenire che non può affatto condividersi neppure l’affermazione contenuta nella citata sentenza della Suprema Corte secondo cui “ se a tale figura il legislatore tributario del 1973 avesse inteso riferirsi nella determinazione del soggetto avente titolo rappresentativo dell’amministrazione quanto agli avvisi di accertamento, e addirittura a pena di nullità degli avvisi diversamente sottoscritti, lo avrebbe fatto redigendo il precetto in termini specifici e coerenti con una tale volontà ”.
Invero, il legislatore tributario del ’73 non ha espressamente previsto che il “capo ufficio” dovesse essere un dirigente poiché, secondo le norme del pubblico impiego all’epoca vigenti, la funzione di ‘capo ufficio’ era di regola esercitata da un dirigente, risultando, pertanto, superflua una specificazione in tal senso.
Per convincersene, basti considerare che il D.P.R. n. 748/1972, nel delineare le funzioni delle singole qualifiche dirigenziali (dirigente generale, dirigente superiore, primo dirigente, art. 1, D.P.R. n. 748/1972), ha attribuito le funzioni di “capo” proprio ai dirigenti, come emerge chiaramente dalle norme dettate in proposito:
• l’ art. 4, relativo alle funzioni dei dirigenti generali, prevede che “ i funzionari con qualifica di dirigente generale…esercitano le funzioni di capo delle direzioni generali o degli uffici centrali e periferici di livello pari o superiore”;
• l’ art. 5, relativo alle funzioni dei dirigenti superiori, prevede che “ i funzionari con qualifica di dirigente superiore…esercitano le funzioni di capo ufficio periferico particolarmente importante con circoscrizione non inferiore a quella provinciale”;
• l’ art. 6, relativo alle funzioni dei primi dirigenti, prevede che “ i funzionari con qualifica di primo dirigente…esercitano le funzioni di capo ufficio periferico con circoscrizione provinciale o di altri di particolare importanza”.
Ulteriore conferma in tal senso è data dalla circostanza che, pure a seguito della ristrutturazione del Ministero delle finanze ad opera della Legge 29 ottobre 1991, n. 358, il relativo regolamento degli uffici e del personale del Ministero delle Finanze (D.P.R., 27 marzo 1992, n. 287) prevedeva espressamente, all’ art. 41, comma 5, terzo periodo, che “ alla direzione degli uffici delle entrate sono preposti funzionari con la qualifica di dirigente superiore o di primo dirigente ”.
In maniera non dissimile pare essersi espressa, con diffusa motivazione, anche la Commissione tributaria provinciale di Campobasso, la quale, a questo specifico proposito, ha per l’appunto così argomentato: “ nemmeno, poi, è condivisibile l’ulteriore argomentazione che fa leva sulla espressione ‘impiegato della carriera direttiva’ adoperata dal cit. art. 42, D.P.R. n. 600/1973 in cui non è richiamato il possesso della ‘qualifica dirigenziale’. E’ certamente vero, infatti, che la figura del dirigente nelle amministrazioni statali fu introdotta dal D.P.R. n. 748 del 1972 che scisse la carriera dirigenziale da quella direttiva prevista dal D.P.R. n. 3/1957, ma da tanto non può di certo logicamente argomentarsi, come argomenta il Giudice di legittimità, che ‘se a tale figura il legislatore tributario del 1973 avesse inteso riferirsi nella determinazione del soggetto avente titolo rappresentativo dell’amministrazione quanto agli avvisi di accertamento, e addirittura a pena di nullità degli avvisi diversamente sottoscritti, lo avrebbe fatto redigendo il precetto in termini specifici e coerenti con una tale volontà’. Invero da un punto di vista logico e razionale è vero proprio il contrario poiché, essendo stato già disposto con il D.P.R. n. 748/1972, negli artt. 4, 6 e 15, che ai diversi uffici, centrali e periferici, doveva essere preposto un impiegato della carriera dirigenziale, derivava di conseguenza che il capo dell’ufficio (ovvero, nel caso che ne occupa, il Direttore della Direzione Provinciale dell’Agenzia delle Entrate) non poteva che essere un dirigente, onde la mera espressione ‘capo dell’ufficio’ stava a sottintendere che trattavasi di dirigente. Molto più semplicemente è da ritenere che quando il legislatore, dopo la introduzione della carriera dirigenziale con l’indicazione delle funzioni attribuite ai dirigenti, funzioni tra le quali è espressamente prevista la direzione di uffici centrali e periferici, usa l’espressione ‘capo dell’ufficio’, è chiaramente sottinteso che essa espressione è riferibile ad un dirigente
” (in questi esatti termini, CTP Campobasso, 3 dicembre 2015, n. 1109).
CONCLUSIONI
In conclusione, alla luce delle considerazioni svolte, l’argomentazione, per quanto autorevole, volta ad escludere la necessità della qualifica dirigenziale del ‘capo ufficio’ muovendo dall’assunto che quest’ultimo è un impiegato della carriera direttiva, non pare condivisibile in quanto affermare che il ‘capo ufficio’ sia (al pari del ‘delegato’) un impiegato della carriera direttiva non basta ad escludere la necessità della qualifica dirigenziale del ‘capo ufficio’ proprio perché anche i dirigenti appartengono alla carriera direttiva.
Inoltre, il legislatore tributario del ’73 non ha espressamente previsto che il ‘capo ufficio’ dovesse essere un dirigente poiché, secondo le norme del pubblico impiego all’epoca vigenti, la funzione di ‘capo ufficio’ era di regola esercitata da un dirigente, risultando, pertanto, superflua una specificazione in tal senso.
Legislazione
Art. 42 D.P.R. n. 600/1973; Art. 56 D.P.R. n. 633/1972; D.Lgs. n. 300/1999; Circ. AdE n. 13/E/2009; D.Lgs. n. 165/2001; Art. 4 D.Lgs. n. 165/2001; L. n. 358/1991; D.P.R. n. 287/1992
Giurisprudenza
Cass. n. 22810/2015
Cass. n. 14942/2013
C. cost. n. 37/2015
C.T.P. Campobasso n. 1109/2015