La condanna per lite temeraria deve essere adeguatamente motivata
Il Giudice, quando condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c., applicando la norma nella formulazione anteriore alla riforma del 2009, deve indicare in che cosa consiste l’elemento soggettivo e oggettivo della fattispecie. E’ quanto stabilito dalla Cassazione, con ordinanza n. 30448 del 23 novembre 2018.
PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI: | |
Conformi: | Cass. civ. sez. Unite 30 settembre 1989, n. 3948 |
Difformi: | Non si rinvengono precedenti |
- M., con ricorso affidato a sei motivi, ha chiesto la cassazione della sentenza emessa dalla Corte di Appello di Torino che confermava la sentenza con la quale il Tribunale di Torino aveva dichiarato inammissibilela domanda di nullitàe di revoca del provvedimento di nomina dell’amministratore, disposta dal Tribunale in composizione collegiale in sede di volontaria giurisdizione e dell’ordine del giorno di cui alla convocazione assembleare ed aveva respinto nel merito le restanti domande attrici di accertamento della responsabilità dei precedenti amministratori, nonché risarcitorie.
In particolare, con il quinto motivo di ricorso, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione ex art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 96 c.p.c.della condanna per lite temeraria, condanna assunta in entrambi i gradi del giudizio in maniera spropositata e carente di motivazione adeguata.
La Suprema Corte, in accoglimento del quinto motivo di ricorso, ha cassato la sentenza impugnata, escludendo la condanna del ricorrente per lite temeraria.
In particolare, osservano i Giudici di legittimità che la Corte distrettuale ha confermato la condanna, inflitta dal Tribunale, di parte attrice ex art. 96 c.p.c., senza neppure chiarire quale versione della predetta norma processuale abbia inteso applicare, nonostante si dovesse escludere l’operatività della rimodulata disposizione, ratione temporis, ex art. 58, comma 1, L. n. 69/09, risultando il giudizio di primo grado essere stato instaurato anteriormente al 4/7/09.
Piuttosto il Tribunale, prima, e, poi, la Corte distrettuale, avrebbero dovuto indicare in cosa si sostanziava l’elemento “soggettivo” richiesto dall’art. 96 c.p.c.non essendo sufficiente ad integrare la mala fede o la colpa grave la mera proposizione di una domanda risultata inammissibile o infondata (vieppiù per difetto probatorio) ed, inoltre, indicare in cosa fosse consistito l’elemento oggettivo, ossia il danno sofferto, danno che in difetto di specifica allegazione non poteva essere liquidato equitativamente.
Esito del ricorso:
Cassa la sentenza n. 1761/2013 della Corte d’Appello di Torino, depositata il 13 agosto 2013 e, decidendo nel merito, esclude la condanna ex art. 96 c.p.c.
Riferimenti normativi:
Cassazione civile, sez. II, ordinanza 23 novembre 2018, n. 30448